May 21, 2018

Charles Bluh, Conte di Varmaldois

Magione di Bluh
I Conti di Vermaldois vantano nobili antenati che risalgono a oltre 1'500 anni or sono, ai tempi del regno di Luigi I figlio di Carlo Magno; una dinastia prestigiosa, sfortunatamente, di fatto estintasi oltre un secolo prima della rivoluzione Francese; eppure un Conte di Vermaldois siede ancora oggi nella sua magione ad Ambrief, nella Francia alta, circa 80 miglia a nord est di Parigi.
Charles Bluh
Charles Bluh, Conte di Vermaldois, ama risiedere in questo eremo che sembra più un castello che un palazzo, isolatoper la maggior parte dell’anno e sconosciuto al mondo. Bluh rifugge da sempre da ogni forma di pubblicità; quando si sposta, lo fa praticamente sempre in incognito sotto una falsa identità, e risulta estremamente generoso nel mettere a tacere giornalisti e paparazzi quando le sue eventuali scorribande notturne, soprattutto a Parigi, New York e LA attraggono il gossip. Bluh si presenta alto, elegante e solido, dotato di un portamento che lascia pochi dubbi sulle sue origini nobiliari; i suoi modi stessi sono particolarmente raffinati, a tutt'oggi egli ama scrivere a mano le sue lettere agli amici e dettare personalmente, alle sue segretarie, la corrispondenza ufficiale e le missive ai suoi sottoposti. Nonostante il suo isolamento non sono rare le sue lettere, spesso semplici disposizioni su come modificare e spostare gli investimenti: in genere grandi operazioni, con ritorni importanti, ma di lungo periodo, che confermano il suo talento e la sua capacità nel far crescere costantemente il suo già notevole capitale. Infatti, sebbene ancora oggi sia comune rivolgersi a lui, con deferenza, per tramite del suo titolo, è indubbio che il suo potere non ha più ragioni araldiche, ma è radicato nel possesso di importanti pacchetti azionari, molti bancari, per un valore che si ritiene ecceda i dieci miliardi di Euro. La sua magione è piena di servitori che lo accudiscono con una devozione tipica di tempi lontani e che vivono quasi perennemente all'interno delle solide mura del palazzo; visitarlo quindi significa impegnarsi in una specie di ritiro spirituale anche se spesso le attività sono tutt'altro che monotone litanie. Avevo ricevuto l’invito per una settimana di musica e arte dal Conte con circa un mese d’anticipo insieme a un prezioso dono che lui ben sapeva quanto apprezzassi: un violino attribuito ad un allievo di Stradivari del 1782 acquistato da Sotheby's per oltre 80,000 sterline. Non era certo solo il suo valore ad impressionarmi: la sua fattura e il suo suono strabiliante avrebbero potuto convincermi a modificare immediatamente la mia turné anche se non avessi già conosciuto come impagabili i suoi raduni. Fui quindi felice di poter tornare a visitare questo mecenate accollandomi il viaggio saltellante fino ad Ambrief portato dalla sua autista su una vecchia Daimler Double-Six del 1932, un gioiello tenuto perfettamente in ordine e dotato di tutti i comfort più avanzati comprese connessioni ad internet, minibar con miscelatore automatico e ogni altra diavoleria, nonostante l'innata ritrosia del Conte ad usufruire personalmente di questi gadget.
Bluh's Car
Come sempre il viaggio era impreziosito da un preciso accoppiamento voluto dal Conte, io mi ritrovai insieme ad una modella Armena, bellissima e che mi diede l’impressione che il viaggio fosse troppo breve per godere di una simile traballante intimità; mentre la mia amica pittrice Assunta Kota, arrivata nella mattina, aveva viaggiato con la figlia di un oligarca russo che adorava la poesia e sapeva declamare i versi più volgari di Catullo con la raffinatezza di un’opera del Botticelli, come usava dire Assunta. La compagnia era composta da una mezza dozzina di ospiti che trascendevano largamente le proprie notevoli virtù estetiche e vantavano un'eleganza artistica davvero unica. In effetti, era la mia terza volta ad Ambrief e avevo rinunciato a ipotizzare il costo di questi raduni: vini rari, discussioni elaborate, compagnie meravigliose, scenografie costruite con dovizia di particolari, animazioni impensabili, diverse per ogni raduno. Sapevo che Bluh amava offrire regali impagabili ai propri ospiti inseme agli inviti, forse per non rischiare in rifiuti, fatto salvo richiedere a ciascuno una religiosa riservatezza su quanto avveniva nella magione. Sapevo anche che all'arrivo veniva concesso un secondo oggetto, comune oggetto a tutti, che lui chiamava il “ninnolo del raduno”: questa volta si trattava di una spilla di smeraldi fatta a bouquet, commissionata da lui a Van Cleef. Trovai il Conte fra la famosa architetta Sarah Metz con una mise da Crudelia De Mon e Darine, la splendida "poetessa" menzionatami da Assunta, tutti e tre con il ninnolo già appuntato sui propri abiti e Bluh finite le ricercate presentazioni chiese proprio a Darine di appuntarmi il ninnolo quale gesto rituale che ufficializzava il mio unirmi al raduno.
Charles Bluh & Guests
La spilla era una meraviglia ed eravamo invitati a portarla durante tutta la settimana, ovviamente non avrei proprio saputo in che altra occasione avrei potuto metterla in futuro, ma in effetti avevo tenuto anche i precedenti i ninnoli come ricordi impagabili di queste voluttuose esperienze artistiche. Di norma le giornate trascorrevano nell’ozio diurno, dedicato al riposo e al recupero delle forze spese durante le scatenate notti nelle quali passione regnava la artistica. Non erano notti dissolute in senso tradizionale, anche se nessun vizio era negato, ma quelli che altrove erano vizi qui erano considerati al pari del sale sulle pietanza, da rare essenze proibite a droghe sintetiche dalle proprietà incredibili; esse erano impiegate senza enfasi o particolare interesse, anzi di norma tutti cercavamo di moderarci proprio per evitare di perdere coscienza e memoria di siffatti momenti unici. Infatti le notti si trascinavano celebrando ai massimi livelli poesia, pittura, musica, filosofia, tutte declamate nell'elegante e raffinata cornice del maniero di Bluh, che rispetto alla spartana veste esterna, al suo interno vantava vani di una ricchezza impareggiabile. Quasi sempre il tempo trascorreva alla luce di candele e con essenze profumate che impregnavano l’aria e creavano quell'atmosfera unica che permetteva agli ospiti di dare il meglio di se e della propria creatività. In quel raduno, la seconda notte fu dedicata ad un nuovo gioco: una caccia notturna, condotta con occhiali scuri che impiegavano lenti bluastre, basate a detta del Conte su una nuova tecnologia ancora segreta ed in fase di sviluppo. Gli occhiali presentavano chiaramente ogni dettaglio anche nella più assoluta oscurità e permettevano di cacciare i nostri sfavillanti bersagli. Cacciammo nel parco usando balestre e tirando a pavoni che attraverso gli occhiali apparivano iridescenti e cangianti, selezionati apposta per quel gioco e modificati con particolari spray.
Caccia al Pavone
Kota rifiutò di avere un ruolo nella caccia e con lei in casa rimase Lucine, la bellissima modella armena dalla voce particolare, degna di un soprano d’agilità, anch'essa detestava uccidere e trovava quell'esercizio una disgustosa usanza. La cena che ci fu servita a base delle nostre prede, con raffinate alternative per le nostre ospiti vegetariane; ne nacque subito una accesa, ma raffinata, polemica sulla caccia e sul cibo. In realtà l'intensa discussione fu dominata dal lato dei cacciatori da Tira, un’altra bellissima ospite del Conte, dal portamento altero e indomito e, che tra l'altro, aveva vinto la caccia dopo un lungo testa a testa con Simon Mendez, il giovane poeta Uruguagio. Il Conte pretese dopo uno speciale brindisi con un suo raro liquore di far ricorso alle mie capacità e mi pregò di eseguire la terza sonata in do di Bach per stemperare gli animi troppo accesi; la cosa funzionò anche se sono certo che contribuirono non poco i profumi onirici oltre alle speciali attenzioni dei cosiddetti “famigli” che ci accudiva e servivano bevande e cibi. Si trattava di bellissime modelle, e anche modelli, spesso col viso coperto da eleganti maschere, demandate a compiacere gli ospiti ben oltre i doveri di un cameriere anche se il Conte non gradiva che i servizi più intimi si svolgessero in pubblico e rifuggiva dar vita ad orgie durante i raduni che non fossero esclusivamente "intellettuali". La sonata di Bach era così complessa, ed io ero talmente stanco, che solo l’ebbrezza dovuta al liquore mi diede il coraggio e la forza di confrontarmi con quel pezzo dinnanzi a una così eletta audience; l'esecuzione finì per soddisfare anche il mio gusto, tuttavia, proprio sul finale venni interrotto da una visita inaspettata: Bluh si alzò subitaneamente e chiese di perdonarlo dirigendosi rapidamente verso l’ingresso in modo del tutto inusuale. Christine era fuori della magione, bella quanto fradicia, anche se in realtà non stava piovendo o perlomeno non era piovuto durante la caccia. La ragazza sembrava sconvolta e apparve quantomeno strano portarla nel salone della musica invece di prestarle subito le dovute cure; c’erano infinite domande accorate che cercavano risposte, ma Bluh con la sua sicura eloquenza chiese di desistere e lasciare che Christine, così ci presentò la donna si scaldasse e riprendesse totalmente prima di porre qualsivoglia quesito.
Arrivo di Christine
Un pesante damasco rosso la copriva mentre sedeva su un sofà accudita da due bellissime modelle appartenenti al vasto repertorio di "famigli" del Conte. Fui subito colpito da come la bellezza della nuova arrivata riuscisse ad offuscare quella delle due modelle, nonostante le sue condizioni trascurate, l’abito sgualcito e i capelli fradici. I miei occhi erano tutti per lei, così come quelli di Simon e, apparentemente, dei famigli presenti; in modo completamente diverso, ma altrettanto inteso, più sospettoso e sottilmente ostile, si dispiegavano gli sguardi delle donne presenti nella sala.
Famigli
Bluh la tenne lì, davanti a tutti, quasi a voler ravvivare la notte che oramai si era spenta; la curiosità, l’istinto protettivo, il sospetto, tutto rendeva Christine il punto focale di quel momento e la stanchezza non riusciva a stemperarne l’intensità; lei non parlava, fatto salvo qualche inudibile e occasionale bisbiglio per l’orecchio del Conte, quando lui le si accostava; in alcuni momenti il suo viso sembrava sconvolto da un’esperienza allucinante, ma in generale appariva per lo più innaturalmente assente, quasi fosse tranche . Infine Bluh ci pregò nuovamente di scusarlo ed accompagnò via Christine pregandoci di dilazionare qualsiasi questione al giorno successivo quando essa si fosse rifocillata. Due robusti famigli richiusero le porte dietro al Conte e si misero in piedi dinnanzi ad esse quasi a guardia. La tempesta di domande rimaste prive di risposta diede subito origine ad una animata discussione dalla quale si estraniò solo Sarah, l'architetta australiana ormai abbandonatasi al sonno su una delle poltrone Luigi XV che adornavano la sala. Durante la nostra variopinta discussione, ad un tratto sentimmo dei rapidi e schioccanti rumori, sembrava il sibilare di una frusta e si sentiva in sottofondo una serie di gemiti soffocati. In effetti, i raduni del Conte non mancavano di momenti intesi, di giochi di seduzione, di dominazione, spesso proposti come spunto per sviluppare la serata, ma come già detto queste scene erano più tipicamente sviluppate nel privato delle stanze di ciascun ospite con il supporto dei compiacenti “famigli”. Vi erano anche scherzi molto particolari: ricordo ancora quando in una visita precedente, fu organizzato, a seguito di una violenta lite, un vero duello con la sciabola; nello scontro il Conte amputò con un colpo secco un arto del suo avversario che morì sanguinosamente in pochi minuti tra il terrore e lo sgomento generale: si era tuttavia trattato di uno scherzo ben orchestrato e l’ospite col suo arto si fece beffe di noi per il resto del raduno. Almeno metà degli ospiti aveva già partecipato ai raduni del Conte e quindi sorsero rapidamente le più estrose teorie, alle quali si aggiunse una crisi isterica di Lucine e un'intraprendente azione di Simon per raggiungere l’altra sala, scoraggiata dai guardiani in modo tanto cortese quanto risoluto. Alla fine fu Tira a decidere per tutti e a chiamare il Conte per chiarimenti, dopo un’interminabile sequenza di sferzate udite attraverso le pesanti porte. Le porte si aprirono per mostrare una scena particolare, nella quale Bluh con le maniche arrotolate brandiva ancora una lunga frusta e Christine era bloccata ad un marchingegno che appariva un gotico incrocio tra una vecchia macchina tipografica e un cavalletto da tortura, la sua schiena nuda era solcata da segni di frusta e la sua bocca, ora libera, portava ancora un debole segno dell'elaborato bavaglio simile al morso messo ai cavalli che aveva smorzato i suoi gemiti.
Christine e la sua Punizione
Una ancella prese prontamente la frusta dalle mani del Conte, mentre altri famigli stavano liberando Christine. Noi eravamo attoniti dinnanzi alla scena, alcuni pensavano ancora che si trattasse di uno degli scherzi, mentre sul viso di altri era chiaro un misto di eccitazione e riprovazione. “Portatela nei suoi alloggi”, il Conte ci fece cenno di accomodarci e ci raccontò con brevi commenti la storia di Christine, giovane manager tedesca che aveva affascinato troppo un ricco principe persiano nella sua trattativa commerciale; come risultato il principe l’aveva fatta rapire e trasformata in sua schiava, aggiungendola a un giù nutrito harem di bellezze provenienti da tutto il mondo. I nostri commenti e domande che tentavano di interromperlo e capire quanto di vero vi fosse, erano tutti cortesemente ignorati da Bluh che proseguiva il racconto con sorrisi compiacenti. Durante la prigonia, Christine, come molte altre sventurate, era stata sottoposta ad un minuzioso processo di interventi di chirurgia plastica e aveva da poco iniziato un intenso programma di condizionamento che alcuni definirebbero probabilmente lavaggio del cervello. Questo era il trattamento che il principe imponeva alle sue prigioniere. Christine era riuscita a fuggire dalla clinica dove si trovava, a poche miglia di distanza, proprio prima di perdere completamente la capacità di reagire; nella fuga era finite nel fiume e solo fortunosamente era giunta alla magione degli Vermaldois. La calma e sobrietà del racconto, il tono della voce del Conte e la sua autorevolezza rendevano sensata quella che altrimenti sarebbe apparsa come una storia pazzesca; a tratti i nostri sguardi si volgevano verso Christina e il suo volto provato, mentre le “famiglie” la conducevano via. “Perché frustarla allora?” Chiese Simon con orrore, senza mancare di tradire una smorfia di eccitazione sul labbro. Bluh rispose quasi sorpreso dalla questione “Il Principe è un mio amico, dovevo necessariamente dare prova di buon vicinato” “Quindi non chiamerà la polizia_” “Sarebbe indelicato, Christine non vorrebbe di sicuro ed inoltre probabilmente i poliziotti di questa zona sono sul libro paga del Principe e la riporterebbero immediatamente nella clinica. Sarà mia ospite, qui è al sicuro” Bluh propose un sorriso imperscrutabile e Tira si accostò al Conte baciandogli delicatamente la guancia e sussurrandogli una frase nell'orecchio Ne seguì un silenzio che si spense nel nostro trasferirci a letto provati dalla stancante notte e quasi drogati da quell'esperienza oltre che dalle essenze e dai profumi. Passammo tutta la settimana a porci questioni su questo fatto, non mancando di tempestare il Conte di domande, tutte elegantemente eluse in modo tale da generare in tutti il ragionevole dubbio che si fosse trattato di una specie di illusione collettiva creata ad hoc dal nostro ospite per terminare l'interminabile nottata della caccia. Assunta completò rapidamente un quadro ad olio di Christine che Bluh appose in una stanza a fianco ad un suo ritratto; era una rappresentazione particolare, ma toccante, mi ritrovai spesso ad osservarlo e non di rado mi esercitai a ripetere quella sonata, ispirato da quel dipinto, scoprendo capacità che non credevo di possedere e accorgendomi spesso al termine del pezzo che anche altri ospiti mi avevano raggiunto e ascoltati estasiati.
Il Quadro e la Sonata
In ogni caso Christine non si fece più vedere e nulla più sapemmo di lei fino al termine della settimana, quando il Conte ci disse che era “scappata” nella notte precedente e che di lei non vi erano tracce. Molti chiesero se fosse stato il principe a rapirla, ma Bluh assicurò che non era così, anzi che Christine si era completamente ripresa e probabilmente ora era al sicuro. Di Christine, oltre all'accecante bellezza, ricordo intensamente solo quelle poche parole, vaghe e a malapena comprensibili, che Tira aveva sussurrato nell'orecchio del Conte quella notte “Se la pensi così dovrai lasciarla scappare prima che Lui venga a reclamare la sua schiava” Prima di partire chiesi chiarimenti a Tira, che reagì baciandomi teneramente sulla bocca “amore, amicizia, ospitalità e giustizia sono forze naturali che solo chi possiede il Supremo Potere può padroneggiare. E voi sicuramente sapete padroneggiare le Sonate di Bach, un giorno forse anch'io organizzerò un raduno e vi pregherò di rinnovare l'interpretazione di quel pezzo usando questa vostra particolare passione”


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